domenica 18 aprile 2010

Una giornata in fiera

Una giornata in fiera!

Ah, la fiera! Corridoi e corridoi di stand(s), pieni di campioni, campioncini, prodotti colorati, ammiccanti, odori sintetici, odori naturali, oli essenziali, persone, pettinature sgargianti su facce gonfie, abiti alla moda, vestitini incredibili, donne mozzafiato, uomini alti mezzo metro, stranieri, italiani, italioti, calze, calze colorate, a rete, su scarpe improponibili, su tacchi vertiginosi, su sandali, su sandali?, sì su maledetti infradito!, anche se piove, già... uhm... piove...

Dio che giornata del cass, per venire a 'sta fiera...

Arrivo allo stand alle 8:30. Il mio compito è quello di illustrare le grandi opportunità dell'Università nel campo della ricerca alle industrie che cercano un punto di appoggio: noi possediamo la conoscenza, perdio! (a qualcuno interesserà!) (o no?).
Non c'è ancora nessuno dentro, ma fuori è il fosso di Elm. Orde barbariche di visitatori sotto la pioggia attaccano da ogni ingresso. Le entrate sono controllate da gente vestita di nero, con la faccia da cattivo che la sa lunga, pettorine nere con scritte bianche senza senso. I più fighi hanno un ricevitore che fruscia appeso al culo. Passo il mio badge ed arrivo, come detto, allo stand. Non arriverà nessuno per le prime 2 ore. Tranne la mia compagna di sventura, Federica, che arriva misteriosamente dalla parte opposta da cui sono arrivato io, con un fare di sorpresa nel vedermi.

Il tempo non passa mai, mi maledico per non aver portato con me un maledetto portatile, l'orologio di 'sto posto deve avere delle lancette sovrappeso e con grossi problemi cardio-circolatori. Avessi carta e penna, scriverei un appendice di 550 pagine de "La ricerca del tempo perduto", sondando quella zona ancora più grigia tralasciata da Proust nella stesura della versione originale del suo tomo, quella da 2000 pagine. Ancora non ero andato al bar, altrimenti mi sarei maledetto anche per non essermi portato niente da mangiare.

Il badge, infatti, è una sòla: funziona una volta al giorno. Se hai dimenticato qualcosa in motorino, non puoi più rientrare (il ché avrebbe degli innegabili immediati vantaggi). E' una gabbia. Faccio una mezza colazione/pranzo alle 11:30, più per inedia che per fame. Un panino di grandezza ultrabatterica mi costa 4 euro e 50. Ripenso nostalgico ai fulgidi momenti in cui mi lamentavo dei prezzi della Carla, la barista rompicoglioni della Facoltà.

Qualcuno inizia finalmente a sostare davanti al mio stand da metà mattina, ma le visite sono nel complesso sporadiche e tendenzialmente più di interesse accademico ("Io mi divo izcriviri a ingigniria i non so quali corzo sciglire"). Di realtà imprenditoriali, niente di niente. Do fuoco al mio CV per scaldarmi nei momenti peggiori. Il meglio che rimedio a riguardo, è una farmacista che vuole aprire un suo laboratorio: una stanzina dove mettere un microscopio, praticamente. Le lascio l'opuscolo con la ricerca dell'università nel campo della cosmetica convinto che lo brucerà chiedendosi che minchia sono i biopolimeri.

Alla fine della giornata, il meglio che riesco a raccattare sono i seguenti personaggi, probabilmente esuli dei vari Togni o Orfei della bassa:
- un medico calabrese, che non fa altro che sorridere, che dopo 2 minuti che ride guardando un catalogo, attacca una supercazzola sui temi caldi della fiera: i baroni universitari, la mafia, la chiesa. Assente il maltempo, al sud non arriva quasi mai. Probabilmente è in coda a Caianello.
- un rappresentante di fantomatiche aziende che dopo aver liquidato la questione ricerca nel campo della cosmetica, mi chiede come ho fatto ad essere allo stand della fiera, dato che sua figlia ha fatto astrofilologia egizio-aramaica con indirizzo come se fosse antani, e non riesce a trovare lavoro (caro il mio rappresentante di sto par di palle, io sto qua gratis, extralavoro).
- una tizia che dopo avermi fissato per 2 ore mi si avvicina e mi chiede se so qual'è il codice dell'8 per mille dell'Università (le stavo per fornire il mio codice fiscale, ma qualcosa mi ha suggerito all'ultimo di non farlo).
- una donna in carriera, che arrivando di gran carriera in mezzo ad un gruppetto di ztudintizzi ("Io mi divo izcrivere a ingigniria..."), quasi bocciandole come uno strike a girare, dopo una rapida occhiata al poster "La ricerca dell'Università nel campo della cosmetica", mi guarda con fare torvo da persona spiccia, che è arrivata tardi sull'argomento in corso, e taglia corto con un: "Quando hanno aperto questo corso?".
- un rincoglionito, con auricolari ad un volume audiolesionista nelle orecchie, sorriso interrogativo sulla faccia, che sfoglia tutti gli opuscoli sul tavolo, se li infila tutti in tasca, prima di togliersi la musica dalle orecchie ed attaccare una super-pippa sul ponte di Tiberio raffigurato su un catalogo di un congresso.

Il Prof, presente sul posto con quest'ultimo elemento, prima finge un totale disinteressamento, poi un approccio familiare, quasi comprensivo ed accondiscendente verso la palese incapacità di battere pari del tipo in questione, fino ad un rientro nella zona grigia del cameriere quando il tipo attacca un costrutto di stampo Joyciano della lingua italiana, privando la sua favella di punteggiatura, verbi e soggetti.

Non appena quest'ultimo eroe dei nostri tempi si allontana, faccio un rapido riassunto della situazione catastrofica al Prof, mentre mi metto la giacca per andare via, concludendo con una nota divertita sul gadget più distribuito:
"... quelli sulla ricerca dell'Università e poi, più di tutti, il CD dei corsi di Laurea dell'Università. Questi sono andati via come il pane in Sudan. L'hanno preso anche i passanti, manco fosse una caramella. Tutti eh! Chissà che diavolo pensano che ci sia. Vedono il CD, e se lo mettono in tasc...".

Non concludo la frase che il Prof, compiaciuto, se ne infila uno nella giacca e dice sovrappensiero "Ah questo me lo prendo che mi interessa...".

Esco nella pioggia, sono le 16:30.
"Forse faccio in tempo per una cioccolata calda" penso fra me e me...

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