domenica 21 dicembre 2008

Hiroshima, anarchia e la storia dell'uomo

Da qualche tempo sto leggendo un interessantissimo libro su Hiroshima e lo sgancio della prima bomba atomica (Diario di Hiroshima, M. Hachiya). Come dice il titolo, questo libro è il diario tenuto dal dottor Hachiya, medico dell'Ospedale principale di Hiroshima, a partire dal giorno dello sgancio (6 Agosto 1945): oltre che una fonte inesauribile per la medicina, questo libro offre spunti di riflessione umana (e grottesche curiosità) su un evento che il mondo occidentale ha messo da parte piuttosto in fretta, per far spazio "solo" all'orrendo fenomeno dell'Olocausto, nascondendo dietro al meccanismo causa-effetto (Pearl Harbor-Hiroshima) (e Nagasaki?) il perchè storico di certi eventi.
Fra le cose che più mi hanno sorpreso, c'è il fatto che a distanza di 3-4 giorni dal pikadon (pika: "splendore"; don: letteralmente "bum"), c'era già piena consapevolezza sia del fatto che una bomba atomica fosse esplosa in città, sia di che cosa fosse una bomba atomica.
Il 15 Agosto (9 giorni dopo la prima esplosione) un gracchiante comunicato radio dell'Imperatore in persona informa i superstiti di Hiroshima che la guerra è perduta. Questo getta definitivamente nello sconforto e nella rabbia i pochi derelitti rimasti vivi, i quali capiscono che i dolori atroci che stanno soffrendo sono del tutto inutili.
Leggendo i risvolti umani di questo diario, che mai il dottor Hachiya avrebbe pensato sarebbe stai pubblicati un domani, mi scopro incapace di trovare una soluzione alternativa a quel dolore se non attraverso una completa anarchia.
Perchè mai, arrivati ad un certo punto, le cattive conseguenze di scelte fatte altrove dovrebbero ricadere sui cittadini comuni? Con quale coraggio ed in nome di quale futuro benessere un generale o un imperatore mandano a morire soldati che non conoscono? E quando la battaglia è persa e le ricadute umane di quelle scelte hanno devastato altri, invece che i principali responsabili, a che titolo tali persone mantengono ancora la loro carica ed il rispetto a loro dovuto?
Le parole dell'Imperatore il giorno della resa dicono testualmente: "Sopportare l'insopportabile". Ma perchè? In nome di cosa? Il coraggio e la forza di spirito dimostrata da coloro che affrontano veramente le conseguenze della devastazione sono un esempio di valore umano incalcolabile, che l'uomo perde, studiando la storia, mentre quello che passa sono le date e gli eventi: del dolore nessuna traccia. Lo si deve andare a cercare nella poesia e nella prosa che descrivono un certo periodo, ma del perchè davvero si debba ascoltare il volere di qualche graduato cretino chiuso nelle stanze dei bottoni, nessuno parla: accettiamo rapidamente che sia normale e faccia parte della storia dell'uomo. L'unica cosa che la Storia ci insegna è che la Storia non ci insegna nulla.
Mi rendo perfettamente conto che questa sordità al dolore inutile con cui siamo educati non abbia altra conseguenza che l'anarchia e sinceramente sono molto poco infonformato sui risvolti positivi e negativi di una tale scelta, ma arrivati ad un certo punto, uno si chiede: perchè devo affrontare tali drammatiche sofferenze, se le scelte le ha fatte un altro?
In nome di un popolo? In nome della nazione? E se il concetto di popolo e nazione fossero abusati e manipolati, come la Storia stessa ci insegna che accade spesso, perchè diamine dovrei lottare?
Forse questa stessa domanda se la devono essere posta alcuni di quelli che la storia italiana ha chiamato partigiani quando, alla fine della guerra e del fascismo, hanno visto confluire la loro lotta per la libertà in un unico movimento che necessariamente aveva il colore opposto a quello nero.

Davvero c'è bisogno di far confluire sotto un unico ombrello un determinato movimento per dargli il diritto all'esistenza? L'uomo libero, in quanto tale, può esistere o è destinato a schierarsi con qualcuno?

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