domenica 4 gennaio 2009

Una tranquilla due giorni di sci

Avendo finalmente a disposizione il mio primo giorno di ferie, mi sono organizzato per poter andare a sciare un paio di giorni: volevo colmare la mia voglia di neve. Destinazione, Corno alle scale. Dopo un ora e mezzo di macchina, arriva il primo (atteso) inconveniente. La strada da Vidiciatico in poi è da fare con le catene. Non avevo mai montato le catene ad una macchina da solo ma, mi sono detto, lavoro al CNR: posso fare tutto.
Mi fermo incautamente su un lato ghiacciato della strada. Attorno a me, tutto è bianco per uno strato di almeno mezzo metro (a dirla tutta, la neve esisteva già a 400 metri slm). Davanti alla mia macchina, un'altra è già ferma nell'atto del montaggio. Apro la custodia e trovo le istruzioni: sono incomprensibili. Attacco di fantasia: le catene sono piene di colori che dovrebbero aiutarmi, ma non capisco come. Dopo cinque minuti che sono lì che armeggio, con le macchine che mi fanno l'aerosol con i loro gas di scarico ("Ma sì, andiamo a respirare l'aria di montagna, che fa bene!"), comincio a non sentire più la punta delle dita. Purtroppo ho appena finito il punto 1 delle istruzioni. Guardo sbalordito il tizio davanti a me che lavora imperterrito da diversi minuti e scorgo un particolare fondamentale: ha i guanti da lavoro. L'odio e l'invidia da urbano incallito mi attraversano: "Ah-ah: ma io so dormire con il rumore degli autobus e delle macchine di sottofondo!", penso sogghignando. Dopo altri 10 minuti, arriva una macchina dietro di noi, proprio quando il tizio davanti ha finito di montare le sue catene e se ne va. Scende un tipo corpulento che si accende subito una cicca. Nel giro di 3 maledetti minuti, fumando, il nuovo arrivato monta delle catene prive di colori e riparte che deve ancora finire la cicca. Diversi minuti, bestemmie e "Ma io però..." dopo, monto con successo il mio primo paio di catene e riparto di slancio verso le piste. Ancora 40 minuti abbondanti e giungiamo nel marasma galattico del parcheggio prospicente le piste. Sembra ci siano i saldi dell'Ikea. Le macchine sono parcheggiate una sull'altra ed il disegno scelto per il parcheggio somiglia molto a quello di una svendita di macchine usate: impilate ordinatamente, suggerisce che il detentore delle chiavi sia solo uno, l'ultimo arrivato. Dopo diversi minuti ("Uno dei vantaggi di Corno alle scale è il parcheggio gratuito", recita l'opuscolo informativo), troviamo parcheggio. Ah, finalmente si scia! Macchè: mi occorrono 3 crampi, una sigaretta, un paio di santi, un ave maria di pentimento per i santi ed una minaccia di buddismo per mettere gli scarponi. Seguirà scalata di ghiaccio per raggiungere il nolo degli sci posto a 20 metri (in altezza) dal parco macchine. Ma ora è fatta!, penso. Niente da fare: la giornata spettacolare ha portato tutta l'Emilia Romagna e la Toscana sulle piste del Corno. Comincio a credere che Abetone e Cimone siano chiusi. I 3 negozi di noleggio sci hanno finito tutto: rimangono solo gli sci per gente sopra il metro e ottanta. Tiè, ri-sogghigno: finalmente una volta in cui è vantaggioso essere alti (mai prendere un mezzo pubblico se siete sopra i 180 cm o sperare di vedervi interamente in uno specchio del bagno). Purtroppo, questo non mi evita una coda di 2 ore 2, mentre tutti i nani della vallata tentano comunque di provare a vedere cosa è rimasto (maledetti nani, prendetevi uno slittino o una Xbox).
Come programmato, siamo infine sulle piste per le 14:30. Ah... la neve. Lo sci! I bambini che scorrazzano... Troppi bambini che scorrazzano! Aspetta un attimo... Noooo, gli sci club!!!

Terrore delle piste, incubo degli sciatori provetti, minaccia degli incapaci, i bambini dello sci club sono gli assoluti dominatori delle piste innevate. Si muovono a gruppi non inferiori alle 10 unità. Non conoscono la paura, la stanchezza e la dignità. Grazie alla loro ridotta altezza, passano indisturbati avanti a tutti alle code per le seggiovie, incuneandosi nella marmellata di sci che si crea all'imbocco con abilità impagabile. Nei punti più stretti delle piste, nemesi di ogni neo sciatore (quale io sono), conquistano il campo con i loro maledetti spazzaneve, curvando ogni metro, mentre tu, incapace di livello 5 (su una scala di 4 gradi), alla meglio la fai in semi-derapata con il culo a monte e le racchette che mulinano a valle, manco fossi seduto sulla tazza del cesso. Ricordo una volta, altra mattinata affolata di sci dalle parti di S. Sicario, una caccola sotto il metro di altezza della Torino bene lamentarsi con voce antipatica e cantilenante: "Oggi proprio non si scia... è pieno di incapaci!". Nelle mie notti migliori, l'ho sognata sulle striscie pedonali alle 7:45 di un Lunedì feriale in punto qualsiasi della viabilità fiorentina.
Giunta la sera, dopo 2 ore filate di sci, rincasiamo verso l'albergo a Vidiciatico. Per chi non lo sapesse, questo ameno paesotto è di origine bolognese e la gente non parla toscano. La corretta pronuncia sarebbe qualcosa come Vidiziàtigo (con molta enfasi sulla a). La gestora dell'albergo è un omaggio al lifting: sembra appena uscita dal video "Black Hole Sun". Nell'albergo ci sono circa 23 gradi. Per uno abituato a vivere da un paio d'anni a 15 gradi significa stare ai tropici. Seguirà nottata nudo e accaldato e persistente mal di testa mattutino, spento solo grazie da una colazione a base di Aulin. Probabilmente, però, più che il caldo il vero pericolo, del tutto conseguente allo sci club, è la presenza di esseri umani di piccola taglia presenti in massa in ogni luogo dell'albergo. Dove non arriva la loro presenza fisica, li aiuta un potente apparato fonatorio (meglio conosciuto come "grido indisturbato tanto ai miei non frega una mazza di quello che faccio"). Per allietare la serata, in vista di una fresca sveglia mattutina, io e Cristina ci mettiamo a giocare a Buraco in una sala al piano terra, subito dopo cena. Sembravamo le signore che prendono il thè nella scena clou del Titanic. Bambini che corrono e gridano indisturbati fra spigoli appuntiti (i miei gomiti) e spazi ristretti, come fossero i campi sterminati del centro america. Bambini che in questi stessi spazi vanno sui pattini o su monopattino... Bambini che colorano i tavoli dell'albergo con grosse matite e pennarelli, dimentichi degli incontaminati fogli bianchi messi da parte. Bambini che si picchiano indisturbati, mentre i genitori sbadigliano sull'ultima mano della Beppa del loro Windows Vista. E poi capisci: le madri, stancamente, li chiamano per nome. Uno si chiamava Zeno, un'altra Crisalide. Mi ricordano sempre i bambini di S. Sicario, uno dei quali, lo giuro, venne richiamato dal padre al nome di PierLudovico (e poi uno pensa che i PierPiero- giardiniere di Arcore- ed i CarCarlo- Pravettoni- siano stati delle forzature...).
Ma il meglio doveva ancora venire. Al mattino seguente, presta sveglia ed arrivo sulle piste in orario, sci alla mano, skipass già fatto. Come nella migliore pubblicità dell'amaro Lucano, avevamo sbagliato il giorno. Le piste sono invisibili, sepolte sotto uno strato di nubi lattiginoso. Rigiochiamo a carte per 3 ore fino a mezzogiorno in una baita, quando guardando fuori in lontananza si comincia a scorgere uno Yeti di 8 metri, il che significa che la visibilità è passata dai 20 ai 50 metri. Ma anche che la temperatura si aggira agilmente sui -5/-10 gradi. Ma a noi non interessa. La nostra attesa era stata finalmente ripagata. Sciamo indisturbati su piste innevate appena appena battute, quasi incontaminate, fino all'ultimo inevitabile avvenimento.
Fino ad allora mi ero vantato di non essere mai cascato ma, in un momento di debolezza fisica, la punta di uno sci mi si incaglia su una cunetta mentre sono in piena velocità. Uno sci mi saluta e mi dà appuntamento alla seggiovia "Ne fo un'altra e poi si va via". Le racchette non concordano su cosa fare ed una sceglie la nera sulla destra, l'altra si pianta in terra ed aspetta Cristina che sta arrivando. Nel frattempo, io e lo sci che mi è rimasto, fedelmente, attaccato allo scarpone rotoliamo giù per un 60 metri. L'urto sulla neve "soffice" è attutito interamente dalla chiappa destra. Non appena riapro gli occhi, vedo pezzi di me sparsi su tutta la discesa e lo sguardo beffardo di un nanerottolo dalla tuta blu che mi scivola veloce accanto. Nel suo sguardo leggo un nelsoniano: "Ah-ah!".
Ed ora che sono qui, a casa in un letto caldo con un gatto peloso e grasso, che sento arrivare uno stato di malessere generale non so, in cuor mio, se è per colpa del freddo maledetto o per la botta vergognosa...

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