sabato 18 ottobre 2008

Parabrezza sporco

Ci volli fare subito un giro.
Non credevo ai miei occhi: tutto era chiaro.
Mi chiesi: "Come ho fatto fino ad ora?".


La giornata era piena di sole. Mi dissi che dovevo assolutamente andare a dare una pulita al mio motorino. Non lo facevo mai. Mi feci un caffè ed addentai un pezzo di dolce stantìo, ma ancora buono. Mi sentivo un po' indolenzito, ma avevo addosso quella sensazione golosa di avere una giornata davanti da poter organizzare, per vivermi un pò. Sentivo i capelli spettinati sulla testa ed il tepore della mattina sui muscoli ancora ammaccati dal sonno. Mi misi sù una maglietta che mi faceva sentire a mio agio e scesi in strada con un secchio ed un cencio.
Il motorino era piuttosto lurido ma la mattina troppo rumorosa per porterlo lavare in strada. Sembrava che quel sabato mattina la città fosse più viva del normale. Qualche anziano camminava per strada scansando le cacche dei cani. Ripiegati come sdraio da mare nel portabagagli, camminavano e chiacchieravano senza ascoltarsi, ma felici d'essere con qualcuno. Di primo acchito, li avrei compatiti, ma c'era nel loro sguardo perso un vago senso di serenità che sentivo di invidiargli.

Un'altra occhiata al motorino mi convinse a lavare almeno il parabrezza. Non sembrava un granchè sporco, ma una pulitina non gli avrebbe fatto male. E, soprattutto, avrebbe chetato il mio senso di colpa. Cominciai a strofinare il panno umido sulla plastica e trovai subito grande difficoltà nel togliere quelle piccole chiazze invisibili. Più mi sforzavo, più realizzavo come sulla plastica si fossero imparentati insetti d'ogni tipo, macchie indefinibili ed una patina di smog grigio che, ora che lo avevo davanti raggrumato d'acqua, mi scandalizzava. Via via che andavo pulendo, mi compiacevo del lavoro, perchè al grande sforzo di staccare linfa d'insetto secca di chissà quanto tempo trovavo riscontro nell'effetto limpido che il parabrezza assumeva rispetto alla parte ancora da pulire. Ci misi davvero un sacco di tempo e mi lordai le braccia ed il viso, e la maglietta in cui mi sentivo a mio agio, come se dovessi lavare un gatto idrofobo, ma alla fine ne uscii soddisfatto.

Salii in casa e mi detti una sciacquata rapida, lasciandomi addosso la maglietta. Realizzai che non avevo granchè altro da fare, in realtà, e la mattina soleggiata e piena di persone che vivevano là fuori mi mise voglia di andare a fare un giro.

Montai sullo scooter e presi una via a caso, lasciandomi guidare un po' dal flusso delle macchine. Mentre andavo, vedevo chiaramente che c'era qualcosa che non funzionava come al solito. Il motore faceva lo stesso rumore soffocato di frullatore da 250 centimetri cubici. Le ruote non erano sgonfie e piegavo senza disturbo. Ma non era il motorino. Ero io. Era una mia sensazione. La gente nelle macchine mi pareva più visibile, più... in luce. Erano sempre loro, gente qualunque che faceva la propria vita. Volti stanchi, sguardi accigliati, gente che rideva, labbra contratte di chi rimuginava ed occhi distratti di chi parlava al cellulare. Li vedevo, li vedevo tutti chiaramente. Era come andare in giro in motorino per la prima volta. Come avevo fatto fino ad ora? Possibile che il parabrezza fosse così sporco? Anch'io mi sentivo visibile, nudo, scoperto come loro. Come potevano permettersi di essere così... in vista? Non si rendevano conto che li vedevo perfettamente?
Continuavo a girellare inebetito da questa nuova sensazione quando ad un tratto una piccola libellula si frantumò in una pozzettina verde su un lato del parabrezza. Il vento che vi sbatteva sopra, spanse ed asciugò quella chiazza cementandola con la plastica. In pochi minuti risultò quasi del tutto invisibile e solo perchè sapevo che poco prima vi si era schiantato un insetto potevo ancora riconoscere il vago alone che vi era rimasto. Chissà quanti altri microscopici esserini vi si erano già incollati, senza che io me ne accorgessi. Chissà quanta polvere di smog fine, quanto gas di scarico si era già rappreso davanti ai miei occhi senza che io nemmeno lo notassi. Quello che vedevo in quell'esatto momento, quel tizio con la fronte aggrottata che pagava il fiorista o quei tredicenni goffi con i baffetti nelle loro magliette enormi, erano davvero così? Magari se mi fossi fermato e li avessi guardati scansando quel filtro di plastica sarebbero stati diversi. Magari il tizio che pagava il fiorista aveva lo sguardo triste di chi porterà quei fiori al cimitero e non lo sguardo aggrottato di quello che sta pensando se piaceranno o no. Forse quei tredicenni con i baffetti in realtà non sarebbero stati così sfigati come li avevo giudicati, o magari lo sarebbero stati meno di come ero io a tredici anni.

Mi sentii confuso e pieno di domande. Ogni quanto avrei dovuto pulire il parabrezza? Ogni quanto mi sarei dovuto fermare a guardare meglio? E se non ne avessi avuto il tempo? Se fossi stato sempre di corsa, come avrei potuto avere un'idea di chi viveva in quella città con me girando per strada? Fino a che punto mi potevo fidare di ciò che vedevo? Fino a che punto avrei potuto dare un giudizio di chi avevo attorno senza sbagliare?

Tornai a casa perplesso e parcheggiai il motorino davanti al portone di casa.
Guardai il parabrezza nella luce del sole filtrare i suoi raggi e distorcerli e spargerli secondo gli angoli di curvatura.
Era trasparente.
Vi passai un dito ed una strisciata vi rimase impressa.

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