sabato 7 marzo 2009

Italioti alla riscossa

Fine del primo mese qui in Germania.
E prima esperienza italiota. Dopo aver cercato in ogni modo di immedesimarmi con questo luogo, trascurando la mia origine per accettare ogni cambiamento (di qualsiasi tipo), un intervento esterno (leggasi Italia) mi ha costretto ad effettuare una mossa individuale qui in Germania, esponendomi con i tedeschi. Personalmente, non avevo niente da perdere, quindi mi sono buttato. E qui, alla fine, ho toccato con mano la realtà italiota, del tutto incomprensibile per un tedesco.
Se non avete idea di cosa significhi il termine weird, in inglese, date una spulciata su Wiki: questa è l'impressione che ho dato. Mi sono trovato in difficoltà, ma su un piano del tutto personale: non puoi spiegare l'italianità ad un tedesco. Non ha i mezzi per comprenderla. E anche quando ti sforzi per cercare di far passare il messaggio, caricando un pochettino la mano su quei concetti più ostici, tutto quello che ottieni è un "This is just weird". Mi sono sentito confuso, ed un po' sconfitto. La schiacciante normalità di questi luoghi trova semplicemente assurdo il mio affannarmi.

Non che, nella sostanza, faccia molta differenza per me: quello che conta sono i fatti. Io sono qui da 1 mese e ci resterò altri 2, quindi l'idea che resterà di me sarà quella che fisicamente lascerò qui, con le mie azioni, non tanto con le parole. E su quella tutto va liscio. Eppure, appena ti muovi un attimo dalla tua posizione e metti in gioco altre carte (confuse) che hai in mano, ti riportano subito alla realtà, dicendoti che qui si gioca con stile elementare: non c'è alcun motivo per buttarsi in una situazione complessa. Continuo a credere che un tedesco in Italia morirebbe dopo una settimana, di stenti, di fame o di pazzia. Ma devo anche ammettere a me stesso che la forza di questa gente è non accettare alcun compromesso fin da subito, e rimanere solida e compatta: intransigente.

Per farvi capire, qualche tempo fa in questa zona ha chiuso una fabbrica della Nokia e (pare) circa 10mila persone si sono trovate senza lavoro dalla mattina alla sera: l'azienda aveva traslocato la fabbrica in Slovenia. Una situazione tragica che, ad un italiano, ormai non farebbe nè caldo nè freddo. La reazione della gente di qui, invece, è stata semplicemente smettere di comprare prodotti Nokia di ogni tipo. In massa. Se ti vedono con un cellulare di questa marca, sei guardato male (a lungo). Rarissimi negozi mostrano cellulari Nokia perchè, ovviamente, la reazione della gente è stata tale da portare cattiva pubblicità a chi si azzardi a mostrare l'oggetto dello sgarbo. So questa storia perchè ho ricevuto un cellulare via posta dall'Italia perchè il mio (sempre Nokia) si era rotto all'arrivo (un presagio?). Aprendo il pacco doni fra cui c'era anche il cellulare, il primo secco commento che ho ricevuto, d'istinto, è stato: "Non è permesso importare cellulari della Nokia a Bochum". Poi dopo si sono addolciti e mi hanno spiegato (e perdonato).

Ad uno sguardo superficiale, la vita delle persone che incontro e con cui vivo questi giorni è assolutamente identica alla mia. La gente va a lavorare, magari lavora tanto, si preoccupa del proprio futuro, studenti di dottorato si chiedono se abbia senso continuare a stare in lab delle ore per poi abbandonare tutto e fare un altro lavoro che magari non c'entra niente, magari andare a fare l'insegnante. Una birra la sera, una fumatina ogni tanto, il calcio alla tv, programmi a puntate deficienti per passare il tempo. Addirittura Sudoku prima di andare a dormire. Tutto uguale, in superficie.
Poi, fai un passettino in profondità e vedi che tutto è diverso: non trovi lo stress! Ogni azione commessa da un tedesco, nel bene o nel male, sembra inserita all'interno di un codice di condotta. Sei parte di una società, sei parte di un gruppo, sei parte di un comune senso del vivere al quale puoi certamente sgarrare, chi te lo vieta, ma a costo di rimanere solo. Il lab dove sono io è molto grande, con molti studenti che fanno anche cose molte diverse, magari anche gente che non si conosce o che si sta antipatica, ma il senso di gruppo è forte, il senso del "noi adesso qui" lo avverti. Lo avverto io, che vengo da fuori, ma non perchè sia straniero: lo avverto perchè sono interessato a capire e vedere certe dinamiche. Questa sensazione ce l'hanno loro dentro, non è una reazione nei miei confronti. Una visione superficiale non vedrebbe alcuna differenza. Eppure c'è eccome.

Da noi, i miei coetanei (perchè non saprei dove affogano questi pensieri gli adulti), hanno la perenne sensazione di essere soli e di doversela sfangare da sé. In ogni aspetto, anche il più elementare. Hai la certezza che non ci sia regola, che tutto sia concesso e che ogni mezzo sia lecito per raggiungere il proprio fine. Qui questo è impensabile: il mezzo non può essere prevaricante.
Questo fa sì che nel modello italiano l'individuo sia al centro, mentre qua pensano che l'individuo sia un pezzo dell'insieme e che non possa uscire dal coro: se ci prova è semplicemente weird.

Come fare a spiegare che da noi è la norma, e che i primi che si stanno fottendo la società ed il futuro sono quelli che hanno il culo al caldo? C'è una razzismo sociale in entrambi i luoghi: qui contro chi esce dal contesto, da noi contro chi non ha soldi e non ostenta.
Un altra conseguenza affascinante è il fatto che anziani, handicappati e malati di ogni tipo sono perfettamente integrati nella società. Non parlo del fatto che c'è lo spazio per farli vivere (discese al posto di gradini, casse preferenziali e posti nella metro), ma parlo della loro visibilità. Dopo una settimana credevo che ci fosse un tasso di malattie genetiche in questa zona altissimo. Poi ho capito che da noi semplicemente non li vedi perchè non sono intergrati, qui sono parte del tutto, com'è stramaledettamente giusto.

Quando ho capito questo, mi sono sentito un birmano.

2 commenti:

lalla ha detto...

ciao carissimo alb mi sono detta "andiamo a vedere che fa'quel giovane uomo in terra cermana"e come d'incanto mi appare cio' che hai scritto poco fa'!Esperienza notevole mi pare la tua ma ti posso testimoniare che anche la mia esp di lavoro nella scuola statale mi ha fatto sentire una piccola parte di un tutto molto ben funzionante ed appagante.Tutto quello non e' caduto dal cielo ma l'avevo voluto con le unghie e i denti.Ancora oggi non so spiegarmi quali eventi fortuiti hanno fatto sì che cio' potesse accadere(infatti esperienze di lavoro precedenti erano state orribili e di quelle inerenti la scuola non parlo perche' purtroppo qui da noi vige la regola dell'arrangiarsi e della "solitudine" a partire dalla scuola elementare!).Pero' quando parli di come funziona lì...mi arriva anche una sottile vena d'incompletezza...ah gia'..italiana sono e da molto tempo ..i miei anticorpi contro il resto del mondo funzionano a dovere mi sa!Non so se sono stata abbastanza chiara ma mi perdonerai perche' ho l'influenza.Ti mando un caro abbraccio Lalla (a presto vederti)

Dktr Jpn ha detto...

Cara Lalla, è un piacere leggerti. Sì, a loro manca sicuramente qualcosa, questo è evidente. E, nella mia italianità, non ho trovato solo cose da buttar via. Ciò che è altrettanto vero è che se noi italiani abbiamo sviluppato una certa capacità di saper ridere della vita (che qui non c'è) è a causa di un certo tipo di pressione che negli anni abbiamo avuto (il cui carico, secondo me, sta aumentando incredibilmente). Una volta sviluppata una resistenza allo stress, però, c'è bisogno di cambiare aria, per far tesoro di ciò che si è imparato; altrimenti si rischia di perdere ciò che di buono si è appreso, passando dal sapere ridere di sè ad una struggente malinconia della vita e via per chissà dove finire...