venerdì 28 novembre 2008

I diversi strati della realtà

Ciò che chiamiamo reale è il risultato di una serie di percezioni (visive, uditive, etc.) e di nostre idee fisse (T. Terzani, "Lettere contro la guerra") che mescoliamo continuamente per elaborare una visione finale riassuntiva di quello che accade attorno a noi.

Quando sentiamo storie raccontate, figuriamo i personaggi riconducendoli a concetti che già abbiamo, immaginiamo certe situazioni che abbiamo vissuto e ricostruiamo una scenetta il più possibile simile a quelle che stiamo ascoltando. Si potrebbe dire, in sintesi, che reale è quella costruzione mentale che ci permette di conoscere il mondo circostante senza doverlo necessariamente sperimentare (ad esempio, capisco che il fuoco brucia davvero anche senza metterci la mano dentro). Per alcuni, questa capacità di astrazione è il vero fattore distintivo dell'uomo rispetto agli altri animali.

Cosa accade, però, quando la nostra idea di reale si scontra con quella degli altri? Quale è più reale? Come divincolarsi dalle maglie strette di certe situazioni in cui tutti vedono e sentono cose che voi non vedete e sentite? Chi dei due ha ragione?

Quando leggiamo i libri di storia a scuola, ci viene proposta una certa tesi che spesso è abbastanza lineare. Difficilmente, infatti, si parla di storia contemporanea, a scuola, è nessuno si metterà a litigare sugli Ittiti o sulla funzione fondamentale della Chiesa nel Medioevo.
Quello che è difficile, però, è riuscire ad assorbire i concetti alla base di alcune storie per poterle riconoscere nella vita di tutti i giorni.
Perchè anche quando guardate con attenzione, vite inutili, scelte sbagliate o decisioni pericolose appaiono spesso del tutto innocue, magari non desiderabili, ma comunque rispettabili.
Un saggio potrebbe dirvi che in fin dei conti è la serie di conseguenze a seguito della scelta che la caratterizzano come buona o cattiva.

In realtà (gioco di parole), noi chiamiamo reale solo ciò che siamo in grado di accettare come tale, ciò che la nostra persona è in grado di inserire nei propri schemi mentali. Una realtà oggettiva che non può essere inserita nei nostri schemi mentali è semplicemente scomoda e, sostanzialmente, molto più facile da scartare.
Accade così che di fronte ad alcune difficoltà, saremmo più facilmente indotti a seguire la strada sbagliata, anche se percepiamo che sia sbagliata, se continuamente bombardati da messaggi che dicono il contrario. Il vecchio quesito "se tutti si buttano dal ponte, tu che fai?" è banale: se davvero tutti si buttano dal ponte, tu ti butti come gli altri. Non fai distinzione. A meno che tu non sia in grado di accettare che quella assoluta normalità popolarmente accettata sia per te inaccettabile e nasconda una falsa realtà (cioè, non è vero che è normale buttarsi dal ponte).

Come decidere allora cosa fare? Come scegliere cosa dire? Siamo veramente in grado di essere noi stessi, all'interno di una società aperta, e di vedere liberamente la realtà così com'è senza nasconderci dietro a quello che temiamo, o anche nelle migliori condizioni saremmo vincolati alle nostre debolezze? Ed in una società chiusa, di cui un ottimo esempio è quella italiana? Ha senso stare male, litigare, dibattere e combattersi in un sistema dove comunque non si lotta mai per chiarire la situazione, ma semplicemente per far prevalere una versione che sappiamo già essere di parte? Che senso acquistano le nostre vite, reali o fittizie, quando nessuno vede quello che vediamo noi e ci caliamo consapevolmente in un contesto che a noi sembra finto?

La cinematografia ha già cercato di dare risposte a queste domande.
Il finale di Matrix dà buone speranze, a riguardo. Quello di Nirvana un po' meno.

E voi, che scelta fareste?
Quello che mi sembra più crudele, è sapere di avere una sola vita per fare certe scelte...
Se ne avessi un paio, mi sentirei più sollevato.

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