giovedì 26 giugno 2008

Irlanda 3: fuori dagli standard

Continuo il mio aggiornamento dall'Irlanda.
Ieri grande gita per le "campagne" irlandesi (il vento ha raggiunto velocita' Mach 2, era un carnevale di parrucche volanti, un attacco alieno). Ho compreso come mai gli irlandesi bevano cosi' tanto ed abbiano spesso una faccia poco raccomandabile. La loro storia e' cosi' ricca di soprusi ed abusi, di dispotismo nei confronti della popolazione che forse, considerato dove stiamo andando noi italiani, protemmo proporre un gemellaggio. E' come se avessero un atavico risentimento nei confronti del carattere sprezzante della vita, quella fase dell'esistenza in cui senti che tutto ti rema contro. Ad ogni modo temo che non accetterebbero il gemellaggio, questa gente sta riemergendo dal baratro proprio ora (solamente Galway e' stata la citta' con il tasso di sviluppo e crescita piu' alto di tutta Europa negli ultimi anni, a detta della guida).
Come per Berlino l'anno scorso, anche quest'anno ho avuto la possibilita' di fare un paragone fra le nostre condizioni italiote e le condizioni europee. Anche stavolta il confronto e' disarmante. Gli standard di queste persone sono ad un livello troppo alto per noi. Non reggiamo il passo con la loro normalita'. La cosa peggiore, pero', non e' che la qualita' della nostra ricerca sia pessima, anzi: da quel punto di vista, almeno per questo settore, siamo ad altissimi livelli. E' tutto il resto che manca. Le infrastrutture mancano. I servizi mancano. Un italiano, se avesse l'assistenza che ha un irlandase o un francese o un americano (intendo da parte dell'universita', delle aziende che gravitano attorno alla ricerca, del personale tecnico dei laboratori, ma soprattutto- e sopra ogni altra cosa- dalla burocrazia da compilare) produrrebbe 3 volte quello che fanno gli altri. Come l'anno scorso, mi stupisco nel vedere come gli italiani arrivati qui siano cosi' competenti, considerando che sono lasciati totalmente soli. Alcuni stranieri danno presentazioni in cui si comprende come il sostegno della struttura dove lavorano, l'integrazione del loro lavoro con quello di altri uffici, altri dipartimenti, sia cosi' capillare che ci sia un progetto generale all'interno del quale loro operano. In una sola parola: questa gente e' organizzata. Fanno la loro piccola parte sapendo che il resto lo fanno tanti altri come loro.
Chi dei nostri e' arrivato a farsi un nome e lo mantiene lo fa combattendo una lotta assurda perche' non ha appoggio da nessuno e, purtroppo, lo fa creando una "scia di morte" alle spalle, precari e schiavi nei laboratori tenuti appesi per un filo. Nei posti competenti si creano dei mini feudi in cui si rifa' tutto a spese del capo: il tecnico, l'amministratore, lo specializzando etc. Chi va avanti lo fa come fosse un privato e non un ricercatore del settore pubblico. Per mantenere gli standard di qualita' che hanno gli altri (e spesso risultando davvero migliori, come ho modo di vedere qui) si e' sacrificata (anzi direi proprio immolata) la risorsa umana. Ed ora che il limite umano e' raggiunto e si sta superando la linea della sopravvivenza il crack e' inevitabile. Credo sia lo stesso motivo per cui i morti sul lavoro sono il doppio di quelli per le strade (1300 contro 600 l'anno: girare per strada la sera e' piu' sicuro che fare certi lavori...).
So che questo aspetto cinico non piace ai piu', ma e' una realta' a cui non si puo' sfuggire. Io mi sento sinceramente desolato nel confronto con gli altri, ci credo che nascono partiti iper-nazionalisti a difesa dell'italianita': ma chi diavolo vuole davvero paragonarsi con gli altri? Meglio guardarsi i piedi e dire che siamo soli. Diamine se lo capisco.
Quello che onestamente mi spaventa di piu', non e' il crack che faremo ma il dopo. Ho la sensazione che per ricominciare davvero a fare qualcosa di buono, un nucleo forte di italiani scevri da ideologie da dopoguerra debba rimanere coeso, non si perda, non si demoralizzi. Perche' e' molto facile che il caos a seguito del crack faccia emergere lo schifo. Ma d'altro canto, dobbiamo stare "sinceramente" male per renderci conto che stavamo sbagliando tutto. E questo comporta che qualche "anima buona" si perda e mandi tutti a quel paese.

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