domenica 30 dicembre 2007

Messaggio in bottiglia per il futuro

Mi rendo conto che parlare troppo spesso di politica probabilmente annoia i più. Questo perchè il senso di rassegnazione per l'andamento della società è ormai comune in tutti noi. Perchè guardare Annozero (o Report o chi volete voi), leggere Travaglio (o Massimo Fini o Peter Gomez o Roberto Saviano) insomma documentarsi criticamente se poi, quando ci siamo fatti un quadro chiaro della monnezza nella quale stiamo affogando, non abbiamo gli strumenti per combattere? Perchè guardare, se non posso cambiare?
Non sono in grado di impedire neanche lo sfascio manifesto della mia città (Firenze) da quel politicante abusivo che è Domenici e la sua casta di ignobili col senso etico della banda bassotti, figuriamoci ciò che accade a livello nazionale! Meglio guardare il calcio, giocare alla Play Station, farmi una canna o bere birra. Sono d'accordo, comincio a non avercela più con chi fa questa scelta alternativa.
Chi sono io per giudicare? Solo uno che non ha risolto.

Perchè poi alla fine passi pure per rompicoglioni e fissato, se continui a parlarne. "Vai, ora ricomincia...". Già, me ne rendo conto. Ma mi sento in colpa verso me stesso se smetto di interessarmi, in colpa verso i figli che vorrò avere se li dovessi concepire in una società che mi fa schifo. Ed al contempo in colpa verso chi mi sta accanto quando cerco di introdurre il discorso, in colpa verso quegli stessi figli se non gli avrò dato un'alternativa per vivere serenamente nella società che io non amo.
Sì, perchè arriva un momento (arriva piuttosto presto, se cominci ad interessarti anche solo un pochino) in cui ti rendi conto che la realtà in cui vivi è questa e devi solo decidere se accettarla o levarti di mezzo.

Ho appena finito di leggere il Mattinale sul Blog di Gomez, Corrias e Travaglio postato da Ines Tabusso, dove non si fa altro che riportare le parole dell'avvocato Liperi, il legale di Contrada. Contrada, chi era costui? Contrada era il numero 3 del Sisde (il servizio segreto italiano, nominalmente Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica). La condanna definitiva a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ha atteso 15 anni per poter estinguere i tre gradi di giudizio. Se le lungaggini ad hoc della Giustizia Italiana non si fossero messe di traverso, sarebbe già fuori da 5 anni. Invece, dopo sette mesi chiede la grazia. Come diceva chiaramente Travaglio, come fai a spiegare alle famiglie delle vittime (ma anche a noi) che ci sono voluti 15 anni a metterlo dentro e 7 mesi a tirarlo fuori? Dice di stare male: va bene, c'è l'ospedale. Non credo che il diabete ti passi se ti graziano! Contrada è stato condannato grazie a fior fior di testimonianze che riguardano boss mafiosi di prima grandezza, in carcere non c'è finito per sbaglio. Passava, considerata la sua posizione, informazioni di una certa rilevanza alla mafia, evitando arresti, permettendo assassinii e favorendo l'associazione mafiosa con mezzi che una comune persona non possedeva (per un cameo, leggi qui) (se sei ancora più interessato, compra Intoccabili, S.Lodato M.Travaglio, BUR, 10 euro, link ad IBS.it).

Il fatto che questi siano tempi duri viene dalla arroganza con cui questi personaggi escono allo scoperto. Non c'è più bisogno di nascondere nulla, tutto si fa alla luce del sole. Andate a leggere la pagine personale sul sito dello studio legale di Liperi, dove parla del fenomeno del pentitismo e dei maxi processi come di una "drammatica ed ingiusta realtà giudiziaria". Il suo sito è praticamente un volantino pubblicitario, una carta d'identità.

Non so che dire. Però mi torna in mente una sera d'inverno di quando avevo 18 anni, quando mi ritrovai a tornare a casa in bicicletta. L'aria muta presagiva il temporale tremendo che sarebbe piovuto giù a breve. C'era un sacco di luce per essere notte e lo spettacolo della potenza della Natura era travolgente, bellissimo. Non era molta la strada che dovevo fare. Ad ogni modo, finii per trovarmi in mezzo al diluvio, infreddolito e tramortito dalle scosse di vento, dalla pioggia e dall'assoluta impotenza che provai.
Rincasato scrissi qualcosa su quell'esperienza.
Ve la riporto. E mi prometto di ripensarci in vista del prossimo anno.

(30/01/1999)

Pioggia d'un inverno di fine liceo (parte prima)
Piove.
L'acqua scende come impazzita.
Neve.
Neve ed acqua gelata.
E grandine.
Il freddo si concretizza
in gocce di concentrato inverno,
fitto precipita, non risparmia nessuno.
Scomposta e frenetica, sfuria e si cheta,
distratta si concentra
in sospette nuvole
dall'aspetto pronto
a sgravarsi poderosamente,
che rimangono, però, sempre
silenziose e guardinghe,
tuonanti e temute.
Pioggia,
popolare fantasia partorita
come benefica rinfrescata,
come pulizia,
risciacquo di invidie e dolori,
dubbi e gelosie.
Eppure, in segreto,
si cova il potere di rivoltare il mondo,
di colmare la terra
in disastrosi laghi.
Ed oggi, di lontano, già mostra il suo vigore.
Il cielo si gonfia,
si inarca,
comincia a piovere con violenza.
Lieve di grado, il vento s'alza,
ghiacciato,
sbatte con le gocce d'acqua e le muta in neve;
e tutto insieme,
acqua
e neve
e grandine fredda e bianca
e vento,
tutto si scaraventa giù,
su di noi.

Che altro possiamo fare, noi,
se non cercare di ripararci
da questa sconvolgente unione
di inarrestabili forze?

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